Anche ai vertici la moda è Donna

Le protagoniste nel settore della moda sono le donne. E non si tratta di un trend passeggero, oppure di una constatazione legata alla visibilità sui social delle più note top model, bensì di una realtà che troviamo nei numeri e nelle posizioni di vertice che donne intraprendenti hanno saputo conquistare con sempre maggiore frequenza.
Di questo cambio di paradigma ne parla dettagliatamente anche IoDonna, inserto del Sabato del Corriere della Sera, di alcuni mesi fa, di cui riportiamo alcuni passaggi fra i più significativi, secondo la nostra redazione. Il servizio si intitola “Il nuovo genere dello stile” e non ci siamo stupiti se, al suo interno, viene citata Elisabetta Franchi, una delle stiliste e imprenditrici che ci ha più fortemente entusiasmato, fin dall’uscita del suo docu-film “Essere Elisabetta” e che abbiamo seguito in diretta durante le ultime fashion week.

DONNE AI VERTICI
L’articolo del settimanale inizia così: “Il mondo del fashion si fonda su di un pregiudizio e un paradosso: erano uomini a decidere i codici dell’abbigliamento femminile. Ma oggi sono sempre più donne sono ai vertici delle maison. E, sorpresa, il pensiero femminile della moda è rivoluzionario. È stato un annuncio imprevisto per chi non è addetto ai lavori, un esperto, una giornalista informatissima. Ma la nomina di Virginie Viard a direttrice creativa di Chanel, dove lavorava da tempo come assistente diretta di Kaiser Karl, il magnifico Karl Lagerfeld, supera il pur importante fatto aziendale per diventare un simbolo di quel cambiamento che sta ridisegnando il mondo della moda. Basta pensare che nelle maison più prestigiose il ruolo principale è ora affidato a donne: Sarah Burton per Alexander McQueen, Claire Waight Keller da Givenchy e Maria Grazia Chiuri da Dior, prima donna dopo sei direttori creativi uomini di grandissima fama.
Perché non è una delle tante rivoluzioni tecnologiche, artistiche, culturali, questa accelerazione degli ultimi anni, ma un cambiamento profondo nel sistema delle relazioni sociali, nella percezione delle identità, nelle categorie cognitive. Certo, sono molti i marchi dove le donne hanno un ruolo di primo piano fin dagli anni Ottanta: Rei Kawakubo con Comme des Garçons, Vivienne Westwood, Donatella Versace, Miuccia Prada, Alberta Ferretti e Rosita Missoni (in coppia con il marito Ottavio). Leader dello stile e delle proprie aziende. Ma è la visibilità sostenuta dai grandi gruppi del lusso a far parlare di “normalizzazione” quella che, un po’ enfaticamente, viene definita la Bibbia della moda, American Vogue. “Normalizzazione della visibilità” offerta da Kering che è tra l’altro proprietario di Alexander McQueen, e da LVMH, che oltre a Dior e Givenchy ha lanciato Rihanna che con la sua linea Fenty è la prima donna di colore a vantare una label di questo livello. Non dovrebbe sembrare strano nel momento in cui, per la prima volta, due donne – Cristina Koch e Jessica Meyer – si sono avventurate nello spazio per riparare una batteria della Stazione Spaziale, comandata dall’italiano Luca Parmitano”.

LE OPPORTUNITÀ E IL TALENTO FEMMINILE
Infatti, nel paragrafo successivo (“Quel sessismo storico nel fashion”, n.d.r.) si paragona la conquista dello spazio con questo sentire globale nel modo in cui la donna, da esclusivo “corpo da vestire” diviene protagonista consapevole della propria vita e del racconto d’impresa, di brand.
L’articolo continua così: “Paradossalmente, è stato più semplice conquistare la NASA che smontare il pregiudizio maschile sul quale si è costruito il fashion, riassunto da Charles James, che perfino i suoi colleghi definivano uno dei più grandi couturier del mondo, con questa battuta: “Il corpo delle donne è intrinsecamente sbagliato, bisogna migliorarlo con la moda”.
‘Si tratta di un pensiero attorno al quale l’uomo modella i suoi codici estetici, dopo le grandi donne degli esordi come Coco Chanel, Madame Grès, Madeleine Vionnet’ commenta Maria Luisa Frisa, critico e curatore, che dirige il corso di laurea in Design della Moda e Arti Multimediali allo IUAV di Venezia, una delle poche scuole statali di moda in Italia. ‘Questo percorso storico dimostra che il problema è sempre lo stesso: le donne non avevano le stesse possibilità degli uomini. Il panorama cambia quando riescono ad avere accesso alle stesse opportunità. Come è successo, per esempio, alle donne architetto’.”

Un modo di interpretare e sentire la realtà (negli ambiti delle analisi delle conversazioni su web e social network, si parla di Sentiment) che Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa di Dior, riassume così, commentando la sua linea di T-Shirt dagli slogan rivoluzionari: “Ho cinquantun anni e ho ripensato a tutte le varie fasi della mia vita in una società che mi ha visto nel ruolo di donna, figlia, madre. E ho capito che, proprio come designer e come donna, il mio impegno nella moda non può ridursi a inventare un vestito incredibile. Perché penso di avere la responsabilità di interpretare un’epoca che sta cambiando”.
E le protagoniste del fashion odierno si dimostrano unite da un filo rosso comune che viene identificato come una sorta di “sorellanza”, di solidarietà e collaborazione tutta femminile. Un fil rouge che vede unite protagoniste come le sorelle Fendi, Lavinia Biagiotti, Veronica Etro, ma anche star internazionali come Stella McCartney (una delle prime “eco-stiliste”, amatissima) o le gemelle Olsen con la loro linea The Row, per ritornare a una delle nostre beniamine, Elisabetta Franchi di cui citiamo ancora IoDonna: “Stilista e capo azienda di una società fondata nel 1998 partendo da una bancarella di biancheria al mercato, e che oggi è impegnata nel tragitto della quotazione in Borsa, in un intervista al Corriere della Sera ha sottolineato il suo essere donna in una ambiente ancora maschile. ‘Siamo ancora poche dietro la scrivania di chi comanda. Il perché non lo so. Sicuramente c’è una società vecchia che dobbiamo lasciarci alle spalle, ma penso che ne stiamo venendo fuori’.”
A sostegno di quanto affermato, riportiamo una sintesi tratta dalla bio presente sul sito della stilista: “Un percorso che ha origine a Bologna, città in cui Elisabetta nasce nel 1968, quarta di cinque figli di una famiglia di umile estrazione, guidata da una madre forte che tra mille sacrifici cresce da sola i bambini: anni dopo Elisabetta ricorda come proprio l’assenza di un padre e le difficoltà, la passione e la determinazione di una rivalsa l’abbiano portata a seguire il suo sogno con caparbietà, senza arrendersi di fronte alle difficoltà della vita. Compagna di gioco e di evasione, la sua unica bambola, che oggi rinasce con la Betty Doll: la stessa che le ha regalato il sogno di poter vestire tutte le donne del mondo.”


CREATIVITÀ, ETICA E COLLABORAZIONE

Un percorso evolutivo inarrestabile, attraverso un sentire multi-culturale ma con una forte esigenza di etica e di collaborazione, come dimostra con le sue parole un’altra protagonista, Stella Jean (sempre al Corriere): “Sono appena rientrata dai territori ai confini dell’Afghanistan dove sono riuscita a lavorare grazie alle Nazioni Unite e al programma di moda etica. Per me è diventato un processo di cross-over culturale, che mi consente di avvicinare donne di etnie diverse. Le nuove generazioni sono affascinate dal modo di vestire occidentale, senza pensare che sono le loro arti e tradizioni artigianali la chiave di volta di una sintesi identitaria”.
Con questo breve excursus abbiamo voluto evidenziare quanto di valido è stato fatto fino a oggi in un settore, quello della moda, dove l’alta sartorialità italiana può ancora dare risposte uniche e irripetibili grazie a capacità creative e produttive riconosciute e riconoscibili a livello globale.

Da parte nostra, come protagonisti di questa fantastica filiera di creatori di abiti, l’intenzione è quella di raccontarvi il fare moda dal nostro punto di vista privilegiato, mettendo in evidenza volta per volta aspetti del presente e del passato che possano essere utili per gli addetti ai lavori o semplicemente per chi vuol saperne di più di questo universo affascinante.
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